In questi giorni ci stiamo accorgendo di quanto sia difficile riuscire a coniugare la transizione verso la sostenibilità ambientale, garantendo una sostenibilità sociale accettabile.

Notizie di questi ultimi giorni ci riportano la chiusura di Bosch in Puglia (leggi qui) e il piano industriale di Magneti Marelli (leggi qui). Parzialmente o direttamente collegati alla transizione verso l’auto elettrica, sappiamo che non saranno pochi gli stabilimenti e i centri di ricerca italiani nella filiera dell’automotive impattati da questo processo, con relative conseguenze sull’occupazione e sul futuro di alcuni settori produttivi.
Altro fenomeno inquietante è la crescita dei costi di gas ed energia elettrica, che sta costringendo alcuni Paesi alla riattivazione di centrali a carbone, oltre che al fatto di considerare il nucleare un’energia di transizione – affermazione che fino a qualche mese fa provocava scandalo, mentre oggi è indicata dalla Commissione Europea. Un comportamento apparentemente schizofrenico, ma che un’analisi più profonda riesce a spiegare piuttosto bene.
Senza focalizzarmi però su cause e processi che obbediscono a logiche economiche e geopolitiche più grandi e difficilmente influenzabili, penso che i comunicatori e i professionisti di relazioni pubbliche dovrebbero cominciare a porsi alcune domande e possibilmente darsi anche qualche risposta.
Prima domanda: è corretto continuare a gonfiare la bolla della sostenibilità, inseguendo peraltro ormai una deriva ESG che spinge la finanza a fare greenwashing? Se non ricalibriamo in fretta aspettative e comunicazione, c’è un concreto rischio di ulteriore perdita di fiducia in istituzioni e media (cfr. Edelman Trust Barometer 2022),
Seconda domanda: sappiamo fino a quanto e quando saremo in grado di sacrificare la sostenibilità sociale per la transizione verso la sostenibilità ambientale? Che dal nostro punto di vista significa: c’è stato un ascolto strutturato delle aspettative di tutti gli stakeholder (cittadini e ONG in primis) sulla sostenibilità? Occorre cominciare a prendere in considerazione il punto di vista anche delle fasce più deboli (all’interno dei nostri Paesi sviluppati ma anche di quei Paesi del resto del mondo che non sono allineati al 100% sulla transizione.)
Terzo punto: non avrebbe senso aprire un dibattito pubblico su questi temi, per far conoscere i molteplici aspetti di un processo molto complesso e non così semplice come può sembrare, come la transizione energetica? Questo spazio è una opportunità per i comunicatori e i relatori pubblici.
Concludo esplicitando mio pensiero per evitare fraintendimenti: non credo che ciò che ormai diamo per scontato – la necessità di una transizione verso la sostenibilità ambientale – vada messo in dubbio o negato; credo però che sia necessario affrontare un processo complesso informando, ascoltando e dibattendo pubblicamente, per poterci confrontare con opinioni pubbliche solide e preparate ad affrontare le sfide che inevitabilmente si presenteranno.