Crisis Management & Coronavirus: cosa penso della situazione attuale.

Riprendo un commento che ho appena pubblicato su Facebook in un thread di Toni Muzi Falconi e rispetto a una discussione provocata da Luca Poma.

Personalmente credo che sia giusto parlare del problema di come sia stata affrontata questa crisi e individuo due emergenze da affrontare come comunità di comunicatori:

  1. scarsa preparazione del sistema Italia al crisis management;
  2. zero preparazione sul tema specifico delle epidemie.

Da questo punto di vista credo che sia giusto elaborare una proposta costruttiva da parte dell’associazione professionale: per esempio come indicavo via email, potremmo discuterne tra noi in uno spazio riservato sulla intranet Ferpi e poi proporre un libro bianco sul crisis management per eventi catastrofici (disastri ambientali, epidemie, crisi economiche di sistema, ecc.).

Penso anche che interpretiamo differentemente il nostro ruolo:

pur occupandomi principalmente di comunicazione, non riesco a non pensarmi come professionista di relazioni pubbliche.

Quindi, quando affronto temi come le crisi, reclamo un ruolo nella gestione (o nel governo) degli stakeholder; non solo nelle attività di framing del messaggio, nella definizione della narrativa, o nella scelta delle tattiche e degli strumenti; tutte cose sulle quali entro per forza, ma che secondo me vengono successivamente.

Quindi più che alla crisis communication di cui dovremmo essere esperti, vorrei che come Ferpi dessimo un contributo al crisis management. E qui vengo al punto che io vedo come più critico oggi: gli errori di comunicazione che tutti abbiamo notato, sono figli di un’interpretazione (secondo me) del ruolo nostro come mero spin-doctoring o ancor peggio press-agentry. La mascherina di fontana, il contatore dei contagi, la fase di allarme e poi quella di tranquillizzazione, la presenza a tutte le ore del capo del governo e degli altri… mi sembrano un approccio alla Barnum, che va benissimo per fare campagne elettorali e raccogliere consensi di breve periodo, ma sono pessime tattiche inserite in contesti più complicati come l’economia globale e la gestione della salute pubblica (e della schizofrenia collettiva) dove invece serve una gestione delle relazioni con gli stakeholder un po’ più strutturata.