Nel 2020 il comparto farmaceutico ha segnato un importante miglioramento della reputazione in Italia (cfr. https://www.sanita24.ilsole24ore.com/art/imprese-e-mercato/2020-10-14/pharma-reptrak-2020-cresce-reputazione-farmaceutiche-132920.php?uuid=ADUUi2v&refresh_ce=1) e nel resto del mondo.
Questo almeno è quanto riportava il Pharma RepTrak comparando i risultati con le scarse performance degli anni precedenti a livello mondiale (cfr. https://www.reptrak.com/blog/pharma-reputations-struggle-to-keep-up-with-other-industries-podcast/).
Le grandi aspettative che le case farmaceutiche hanno alimentato per rispondere all’emergenza COVID-19 spiegano in parte questo successo:
Anzitutto c’è stato l’impressionante dispiegamento di forze e la capacità di mettere in pipeline decine di progetti per lo sviluppo di vaccini da parte di tante aziende; in secondo luogo, tanti sforzi per individuare farmaci in grado di rispondere al COVID-19.
Tuttavia già dall’anno scorso hanno cominciato a insinuarsi nel discorso pubblico, sui social media e nei media tradizionali, velenosi semi/memi: dalle sballate teorie cospirazioniste che vedono nelle farmaceutiche l’origine del virus stesso, alle altrettanto assurde teorie che vedono il solito manipolo di plutocrati (Gates/Soros/ecc) alla guida di un complotto contro l’umanità; fino ad arrivare alla chiacchiera più diffusa della Big Pharma assetata di soldi o dei vaccini poco sicuri, alimentate spesso da certo opinionismo piuttosto fantasioso.
Dopo l’arrivo dei primi vaccini e delle vaccinazioni (in tempi record), abbiamo potuto anche leggere delle difficoltà che esistono: completezza dei dossier, affidabilità dei dati, tempi di produzione, ecc. Parliamo di farmaci biologici, che hanno necessità di lunghe lavorazioni, decine (se non centinaia) controlli di qualità, modalità di conservazioni particolari, ecc.
Però i ritardi di cui si parla tanto in questi giorni nelle consegne, vengono strumentalizzati dalla politica per trovare un facile capro espiatorio di tutti gli altri problemi. Che ha già facilmente attecchito se si osservano le conversazioni online di questi ultimi giorni.
Nessuno conosce i termini dei contratti tra società farmaceutiche e Unione Europea. L’unica cosa che conosciamo sono le aspettative che la classe politica aveva creato (https://www.adnkronos.com/covid-speranza-13-milioni-di-italiani-vaccinati-entro-fine-marzo_U0ldHAi3BZykemnR6XVhg?refresh_ce).
Ora c’è chi ‘vagheggia’ (vaccheggia) di togliere licenze, far produrre a società di stato o addirittura nazionalizzare determinate produzioni strategiche (cosa poi). Pensiamo all’Italia: non esisteva un piano pandemico aggiornato, non c’erano le mascherine chirurgiche nelle strutture, le scuole superiori sono state chiuse da ottobre 2020 per problemi legati ai trasporti non ancora risolti, i morti aumentano a dismisura di giorno in giorno, Regioni e Governo centrale animano ogni giorno una rissa continua su ogni questione sanitaria, l’economia è al collasso in vari settori, siamo addirittura in una crisi di governo che non si sa come andrà a finire… E c’è chi scrive che lo Stato dovrebbe produrre con sue aziende i vaccini: un’idea così assurda che basterebbe pensare a ciò che è avvenuto in Lombardia zona arancione/gialla (chiusa per giorni perché erano sbagliati i dati… provocando danni a catena) per capire che meno lo mano pubblica interviene in economia e meglio è (per non parlare di Alitalia, Ilva e altri piccoli esempi di malagestio).
Detto questo, non sarà un anno facile per la reputazione dell’industria farmaceutica. In termini di crisis management non solo per chi si occupa di vaccini, ma per l’intero settore, si tratterà di affrontare una variante italiana, incontrollabile ormai da tempo e purtroppo molto influente: la politica stessa che non sa più che nemico individuare. O meglio che pesci pigliare.
Le aziende farmaceutiche sono abituate a gestire le aspettative dei pazienti rispetto al loro bene più prezioso: la salute. E – pur con qualche eccezione – credo che negli ultimi anni si siano guadagnate la fiducia di chi ci ha avuto a che fare. Non sarà semplice gestire strumentalizzazioni e attacchi propagandistici, ma tutti noi che lavoriamo nel settore dobbiamo provarci a farlo con serietà e responsabilità. In particolare noi comunicatori.